[Questo articolo è un sassolino anonimo
ed è stato pubblicato sul numero 1 di
Lǝ Cerbottanǝ. Sassolini contro il patriarcato]
Sono una persona trans non binaria. Sono nell’attivismo femminista da molti anni, mi occupo di contrasto alla violenza di genere e per quanto mi impegni ad allargare le maglie del sistema, ancora questo contrasto lascia passare tanta violenza sulle persone trans. Quindi parlo a te sorella, a te con cui lotto tutti i giorni, a cui tengo lo striscione il 25 novembre, con cui mi interrogo su come cambiare questo mondo, sorella che mi sta accanto quando l’oppressione del patriarcato ci viene addosso.
Io parlo da una posizione privilegiata, intanto perché sono una persona adulta, bianca e abile, ma anche perché ho il privilegio di vivere in una comunità accogliente, femminista, di cura reciproca e di amore. Il mio privilegio si esprime anche perché le mie sorelle sono pronte a mettersi in discussione, a ragionare, a fare passi indietro e a prendersi delle responsabilità. Ma ecco, il mio privilegio finisce qui. Perché in quanto persona non binaria vivo il costante peso del non riconoscimento della mia identità, e molte altre cose che ora non voglio condividere qui.
Avendo la possibilità di parlare in quanto persona che incarna l’oppressione sulle persone trans, voglio dire alle mie sorelle cis, compagne, mettetevi in una posizione di ascolto. Forse noi persone trans abbiamo da dirvi qualcosa. Guardiamo il mondo da posizioni simili, ma non propriamente le stesse, viviamo un’oppressione dallo stesso patriarcato ma la nostra voce non ha la stessa forza, per ora.
Guardiamo all’uomo bianco etero cis allo stesso modo, quindi forse mi puoi capire sorella, cosa significa quando un uomo cis ci dice che dobbiamo aspettare, che il mondo è fatto così e per cambiare le cose bisogna lavorarci su, e mentre te lo dice ti parla sopra, usa termini non appropriati, svilenti, che non considerano la tua identità, la tua postura, la tua lotta. È un compagno lui che ti parla, e mentre ti dice che nel suo collettivo stanno facendo un lavoro sulla mascolinità tossica, tu pensi che dovrebbero partire da loro stessi, individualmente, che dovrebbe proprio lui, quel compagno, mettersi in discussione, spogliarsi del suo privilegio, e soprattutto sorella, vorresti che per una volta stesse zitto. Vorresti dirgli, compagno, ascoltami, sono io che incarno l’oppressione di cui parli, forse posso dirti io come funziona. Ecco sorella cis, così mi sento quando mi viene detto che la causa non binaria è complicata o che “ci si sta lavorando”. Forse questo lo dico alle sorelle trans binarie, anche loro spesso mi misgenderano perché non ho un percorso di transizione medicalizzato in atto. Si fa fatica, sì.
Dunque cosa mi aspetto da te, sorella? Che mi ascolti, che se sbagli cerchi di capire la radice del tuo sbaglio: è solo il mio linguaggio binario che deve essere decostruito o anche il mio sguardo, la mia cultura, la mia posizione? Anche se so di non essere terf, il mio comportamento lo è? Perché non riesco a parlarti al maschile, forse ho ancora una concezione binaria del genere?
Mi aspetto che se ti dico: “ehi, mi sento di non avere spazio”, tu, prima di guardare fuori, cerchi di capire se per caso quello spazio me lo stai togliendo tu. Lo so, sono argomentazioni forti e difficili da ascoltare. Come donna cis sono millenni che il patriarcato ti nega quello spazio, e continua a farlo, ma questo ci può solo aiutare a vedere quanto sia complicato, per un’identità non ascoltata, discriminata, oppressa, trovare le forze, le reti, le possibilità di agire il conflitto, fare la rivoluzione.
Ecco, quando noi corpi femminilizzati (sì sì, mi sto mettendo proprio nelle due posizioni, perché sono non binary AFAB, quindi subisco violenza in quanto corpo percepito femminile) proviamo ad agire quel conflitto, veniamo definite isteriche, pazze, esagerate… Quando senti che mi sto innervosendo, che qualcosa di quel che stai dicendo o facendo mi sta ferendo, prova a metterti in discussione, ad agire nella nostra relazione il cambiamento che chiediamo alla società.
Voglio anche dirti, sorella, che io mi sento proprio dalla stessa parte della lotta: quando sogno il mondo che vorrei, tu sei accanto a me, ancora. E proprio tu, che mi sei vicina, che parli di transfemminismo, io, proprio io, ti aiuto a compiere il cambiamento, troviamo insieme strategie per non lasciare nessunɜ indietro, valutiamo come modificare il linguaggio, come praticare davvero ciò che rivendichiamo. Facciamolo insieme, ma ti dico anche, sorella, che certe cose le devi fare proprio tu. Non posso spogliarti io del tuo privilegio, sí, il privilegio piccolo piccolo di essere una persona cis in questo mondo cisnormato.
Mentre agiamo il cambiamento, dobbiamo tenere conto di ciò che la nostra lentezza provoca.
Per non lasciare nessunA indietro, stiamo facendo fuori troppɜ.
E noi (sì, parlo ancora di me e te insieme) abbiamo scelto una postura, siamo femministɜ, possiamo non essere come quelli che a suon di sessismo ci hanno buttato fuori dai collettivi, possiamo abbracciare il transfemminismo, partendo da noi. Perché come sorelle vogliamo sradicare il patriarcato, vogliamo vivere le nostre vite autodeterminate e libere dalla violenza, vogliamo gestire i nostri corpi e i nostri desideri.
Lì fuori il mondo è nero, fa paura sorella attraversarlo da solə, fa rabbia viverlo al margine, ma data la mia posizione privilegiata di starti accanto posso dirti che voglio tutto, anche l’impossibile.
Esattamente come abbiamo sognato insieme.
La rivoluzione è transfemminista o non è.