Sorella* io ti credo. O del perché è necessario ridare prospettiva e centralità al concetto di sorellanza* giornale 15 Marzo 2023 [Articolo e immagine sono stati pubblicati sul numero 1 diLǝ Cerbottanǝ. Sassolini contro il patriarcato] CHEAP con Rebecca Momoli | HER name is revolution | Matria | PH Margherita Caprilli Qualche anno fa il potente inno di un collettivo femminista cileno ha scosso ed emozionato le piazze del mondo. El violador en tu camino è un grido altissimo e feroce di libertà e autodeterminazione diventato virale; un j’accuse diretto a ogni istituzione, dalla polizia, alla magistratura, alle strutture del potere che sostengono le violazioni sistematiche dei diritti delle donne. Perché, nonostante da secoli le ondate femministe stiano erodendo le fondamenta della cultura patriarcale, le pratiche sessiste e l’oppressione pervadono ancora ogni aspetto del nostro vivere comune. Persino le gradinate dei palazzi di giustizia sono lastricate di patriarcato, come dimostrano gli innumerevoli casi di vittimizzazione secondaria in cui chi denuncia non viene credutə, a meno che non mostri segni visibili e prove evidenti. Il più delle volte, quando qualcunə non viene credutə dopo una denuncia legale o una presa di parola pubblica, non ci è difficile sentire profondamente dentro di noi l’eco di “sorella io ti credo!”; sebbene sia una violenza lontana da noi, ci crediamo senza se e senza ma, e ci stringiamo in un’alleanza senza dubbi. El Estado opresor es un macho violador! Invece, quando la violenza è agita all’interno del nostro contesto quotidiano, familiare, amicale, politico e sociale, lo scenario emozionale cambia. Se qualcunə decide di raccontare l’accaduto, di nominare la violenza subita dentro un contesto conosciuto, ecco che si fa strada il beneficio del dubbio. Nei nostri pensieri si insinua il però, il ti credo fino a prova contraria: el violador, tanto evidente nei contesti istituzionali, assume contorni sfumati se è un compagno ad agire la violenza o un fratello o un padre o uno zio o un amico. In molti di questi casi ci chiediamo com’è possibile che sia proprio lui. La certezza vacilla, andiamo alla ricerca di spiegazioni logiche, di distinguo filosofici, di contestualizzazioni dovute all’intrinseca complicazione delle relazioni intime; facciamo appello a ogni giustificazione pur di toglierci da una posizione di disagio. Così nella narrazione dei fatti il maschio violento sparisce mentre la persona che denuncia o racconta pubblicamente si trasforma in bugiarda, esagerata, falsa e vendicatrice, non si riflette su quanto le sia costato farlo in termini di paura, vergogna, senso di isolamento; lui è salvo, lei* messa alla gogna, il più delle volte deve cambiare casa, ambiente, quartiere, gruppi amicali o di impegno politico. È lampante. Quando la violenza ci tocca da vicino, torniamo indietro secoli, lì dove sono situate le radici mitiche di gran parte del nostro immaginario occidentale. Torniamo alla malvagità di Medea e Clitemnestra, madri e mogli assassine. Alle bugiarde come Fedra, che fa della menzogna un’arma potente; e che dire di Circe, ammaliatrice spietata, simbolo della lusinga sessuale femminile. E infine lei, l’emblema della donna a cui nessuno crede, Cassandra, che prima subisce la violenza di Aiace, poi è costretta a diventare la concubina di Agamennone e infine riceve da Apollo il potere della profezia in cambio del suo amore ma quando decide di sottrarsi, viene maledetta dal dio che la condanna a non essere più creduta. Storie che tratteggiano donne manipolatrici, bugiarde e malvagie “per natura”, i cui misfatti e il loro non essere credute da un’intera comunità diventano il destino ineludibile che accompagna dal mito ai giorni nostri ognunə di noi. Come pensiamo di prevenire la violenza al di fuori di noi se non riconosciamo e affrontiamo la violenza incorporata? In che modo noi stessə replichiamo il modello di dominio e sfruttamento nei confronti delle altre persone quando abbiamo una posizione di privilegio e potere? Il nostro vivere sociale e il nostro pensare si fondano sulla disparità di potere che vede il dominio maschile esprimersi in ogni aspetto, con la conseguente esclusione delle donne e di tutte le altre soggettività non conformi all’unico genere autonominatosi neutro universale; per quanto nel corso dei secoli si siano conquistati diritti maggiori, non possiamo credere che il pensiero sessista sia stato veramente superato. Tutta l’architettura culturale di cui facciamo parte è intrisa di disprezzo e violenza nei confronti delle donne e delle libere soggettività; veniamo educate dal pensiero patriarcale al disprezzo verso noi stesse o le altre se non siamo esattamente confacenti ai canoni imposti, siamo educate alla rivalità quasi fosse un tratto naturale e distintivo; veniamo formate a ritenerci eterne vallette, incomplete se non anche madri e mogli. Se non ci interroghiamo con sincerità sulla nostra fedeltà al pensiero patriarcale, continueremo a sperimentare un senso di tradimento ogni qualvolta dovremo prendere una posizione nei confronti della persona che subisce violenza da parte dell’uomo di turno. Guardarsi dentro non è mai facile, ma è necessario farlo, per non rischiare che i contenuti delle piazze femministe e transfemministe vengano fraintesi, banalizzati. Per non continuare a prestare il fianco alle negazioni, alle delazioni, umiliazioni e minimizzazioni della violenza quando viene resa pubblica. Sorella* io ti credo! non solo fuori dai palazzi di giustizia ma anche quando a farti male è mio fratello, perché in te non solo mi riconosco ma vado oltre, con te costruisco il mondo che vorrei. Auspicare la sorellanza* infatti non è propugnare l’idea romantica di unione e accordo a tutti i costi ma è auspicare l’atto politico di prendere parola pubblicamente da parte di tutte noi soggettività impreviste della Storia, mai contemplate, mai narrate se non in posizioni secondarie e subalterne; è l’atto rivoluzionario di strappare spazi di libertà dalle trame del patriarcato che ci esclude. Significa mettersi insieme in relazione, in un’alleanza che ricompone lo spazio collettivo con parole e pratiche diverse da quelle imposteci da secoli, che ci vogliono monadi isolate per mantenere lo status quo; agire un profondo lavoro di introspezione e confronto in cui mettere costantemente in dubbio la propria posizione. Ogni volta che qualcunə nomina la violenza come “violenza”, scuote le fondamenta dell’ordine patriarcale e lancia un sassolino contro le finestre del patriarcato. Quando i sassolini li lanciamo insieme, rendiamo politico lo spazio pubblico sulle basi di un’esperienza che da personale diventa collettiva e trasversale, in un reciproco riconoscimento. La potenza della sorellanza* dimostra che sappiamo autodeterminarci senza dominarci a vicenda, che è possibile gestire il conflitto utilizzandolo come motore di cambiamento e non di sopraffazione, che è possibile trovare un terreno comune a partire dal riconoscimento concreto della propria esperienza; condividendola ci impegniamo a lottare contro l’ingiustizia su basi di rispetto reciproco e riconoscendo l’intersezionalità che caratterizza l’oppressione del dominio maschile. La sorellanza* femminista e transfemminista è solidarietà politica frutto di un’intenzione lanciata verso il futuro. È scelta quotidiana, mai scontata, di mettersi in discussione per costruire pratiche e parole nuove, per condividere valori e obiettivi in cui “la tua libertà è il bersaglio dei miei atti”.