di sorellanza* e adolescenza

20 Marzo 2023

[Articolo e illustrazione sono stati pubblicati sul numero 1 di
Lǝ Cerbottanǝ. Sassolini contro il patriarcato]

Illustrazione di RITA PETRUCCIOLI

Per l’8 marzo un nuovo numero di questo giornale storto e amatissimo sembrava dovuto. Infatti stavamo quasi per non farlo, presз da quel moto istintivo di rifiuto delle ritualità che si appiccica anche alle ritualità scelte; e soprattutto presз dalla stanchezza di questo periodo. Questo numero poi, in un momento emotivamente diverso, avrebbe parlato di sciopero o del quindicesimo compleanno di Lucha y Siesta che cade appunto l’8 marzo. E invece eccoci qui, a parlare di sorellanza. Anzi, di sorellanza* perché da quando abbiamo scritto la nostra Dichiarazione di Autogoverno la scriviamo così (e pratichiamo così – o almeno ci proviamo, con amore e mancanze, come si legge chiaramente in altre righe di questo giornale) per esplicitare l’espansione del suo significato in chiave transfemminista.

Ma perché parlare di sorellanza? 

Perché ci va, perché ci serve. Perché la sentiamo fortissimo.

Può sembrare una grossa contraddizione visto che attraversiamo una fase che non ci sembra poi così luminosa, e visto che ci diciamo spesso stanchз, ma non lo è perché a tenere unita la nostra comunità oggi c’è proprio la sorellanza*; la stessa che sentiamo vacillare, a volte, quando allarghiamo il cerchio; quella sorellanza* che è complicità, “tenerezza radicale” e tanti altri ingredienti che forse non si riescono a dire perché piuttosto si fanno. Quella sorellanza* che abita uno spazio di pratica concreto, fatto anche di mura, buchi sul tetto e piante di cui prendersi cura insieme. Questi ultimi anni a Lucha sono stati bellissimi e ricchi, ma anche uno sfinimento. Il dialogo con le istituzioni ci ha sottoposto a continue dinamiche tossiche. Ci diciamo spesso che lo abbiamo raccontato troppo poco o non abbastanza bene. Anche sapendo quanto sia difficile mettere in parole la violenza, non smettiamo di rimproverarci quando collide con la consapevolezza che essere comunità si fonda anche sulla trasparenza dell’autonarrazione collettiva. Più che un racconto, al momento, abbiamo frammenti. Puntini da unire, con cura e tempo, più tempo di quello che abbiamo avuto fin qui. Ma il compleanno di Lucha è un’ottima scusa per regalarci il lusso di un racconto incompleto e liberatorio. Quellз bravз, già pare di sentirlз, ci diranno che lo storytelling non si fa così, che non si capisce. Ma infatti. E invece. Puntini: 

Mille minacce di sgombero, poi aste, acquisizioni, pomposi proclami di salvezza non richiesti né onesti, e poi norme da studiare e reinventare. Tentativi infiniti, compromessi e forzature. Tante richieste di incontri, poi ghosting totale. Poi improvvise convocazioni urgenti, urgentissime, in un gioco fin troppo esplicito per mostrare chi ha il potere di dettare il ritmo. E battute d’arresto continue. E ogni volta rilanciare, reinventarsi, provare a spingere un po’ più in là. Pesare il conflitto, misurarlo con cura, alla continua ricerca di quell’equilibrio dinamico che permette di trasformare radicalmente tutto. dovendo fare anche frustranti piccoli passetti. Un esercizio zen di decostruzione del pensiero binario che alle volte sfianca, perché l’altro – l’istituzione in questo caso – non è minimamente all’altezza dello sforzo e sembra solo uno strano blob di panico da danno erariale, ricorsi, valutazioni caute, tentennamenti e obiettivi mancati; un triste blob di fronte al quale, invece di inventare l’ennesima terza, quarta o millesima via, ogni tanto viene voglia di ribaltare i tavoli e mollare ogni complessità. E invece rilanciare, reinventarsi, riprovare.
E poi la denuncia, per cui le parole non bastano a dire l’aggressività e l’ottusità.
E l’attesa delle udienze. E l’attesa che i prossimi proprietari dell’immobile prendano posto e diano il via a una nuova spumeggiante stagione di questa saga. Vaglielo a spiegare il bene comune transfemminista, altro che storytelling.

Forse i puntini non li vogliamo unire perché già così si intravede il disegno davvero triste di una relazione violenta con le istituzioni.
Ma guardando meglio emergono anche bellezza e resilienza. Sicuramente, nel percorrere lo spazio fra un puntino e l’altro, abbiamo anche fatto vari errori, ma poco importa. Questo è il nostro percorso collettivo di fuoriuscita dalla violenza, quindi l’unico metro di giudizio siamo noi. E se noi ora siamo stanchз, arrabbiatз ma anche insieme e più grandi, possiamo dirci che il nostro percorso di fuoriuscita sta andando esattamente dove deve andare.

Oggi Lucha compie 15 anni e, finalmente adolescente, è pronta a far esplodere nuovi desideri ingombranti e splendidi. Non ci stupisce la fatica, abbiamo scelto un nome che ci ricorda di rivendicare sempre il diritto alla stanchezza e al riposo. Non ci stupisce neanche la rabbia, visto che facciamo i conti con un processo penale assurdo e con un iter di riconoscimento formale fallito che ci vede ancora occupanti di un immobile di proprietà di una Regione oggi esplicitamente nemica di ogni femminismo. Quello che ci stupisce, piuttosto, è la tigna. Quella che serve a continuare la lucha e, proprio quando sei più stancə, aggiungerci un giornale e centottanta iniziative. Quella che ti permette di stare in un percorso così accidentato e voler festeggiare il compleanno e fare un milione di cose nuove. Quella che è contagiosa, come il nome suggerisce. La sorellanza* è così, nutre anche la perseveranza. Perché mentre unə si scoraggiə, un’altrə cura, offrendo bellezza, suggerendo pause e abbracciando forte. In un ciclo continuo in cui insieme si fa anche altro, anzi, si fa soprattutto altro. Così, mentre ci preparavamo a difenderci in tribunale dalle accuse di Atac e facevamo incontri in Regione per scrivere una convenzione che poi non ci hanno fatto firmare, abbiamo aperto 3 nuovi CAV e discusso moltissime ore di metodologia dell’accoglienza. Abbiamo presentato libri, costruito rassegne teatrali, intessuto nuove relazioni, animato cerchi in cui rompere insieme silenzi dolorosi. Abbiamo avuto paura di malattie che costringono a fermarsi e festeggiato nuove vite, provando a capire cosa significa davvero essere corpo collettivo. Abbiamo pensato insieme e sperimentato grammatiche nuove, perché quelle vecchie ci stanno troppo strette. E racchiuso discorsi grandi in modi di dire che sono diventati codice condiviso, così ad esempio, se ora a Lucha dici arcipelago, nessunə pensa solo a delle isole. Abbiamo accolto e, pur non volendo, abbiamo anche escluso e poi ringraziato chi ha avuto la forza e la generosità di farcelo notare.

Il nostro mosaico è sicuramente più grande e più bello di prima. Nonostante gli attacchi, perché la violenza non va romanticizzata, non fa crescere, fa male. E neanche lontanamente il nostro mosaico è completo né statico, come ogni cosa viva. A tenere insieme i tasselli, a creare lo spazio in cui immaginarne e costruirne di nuovi, è la sorellanza*.
Più che un numero di questo giornale, le dedichiamo praticamente tutto. Ad altri 15 anni di sorellanza*, cin cin.

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