Restituzione del Laboratorio di progettazione partecipata – Lucha 2.0 bene comune transfemminista

11 Novembre 2020

Introduzione

Il percorso partecipato di Lucha y Siesta parte da lontano e rispecchia il pensiero critico che il suo collettivo politico, a partire da sé ma sempre in rete con tante altre realtà, ha saputo elaborare contemporaneamente all’attività di contrasto alla violenza di genere e di sostegno quotidiano alle donne che escono da situazioni di violenza.[1] In particolare, la vicenda che riguarda l’immobile di Via Lucio Sestio 10 ha portato nel settembre 2019 alla costituzione del Comitato Lucha alla Città[2] con cui la comunità di Lucha y Siesta ha pubblicamente dichiarato di voler acquistare l’immobile per rispondere alle minacce di sgombero mosse dal Comune di Roma; la campagna di crowdfunding[3] promossa dal Comitato ha raccolto dal basso circa 125.000 euro che, pur non essendo sufficienti a coprire il costo di acquisto dell’immobile – circa 2 milioni di euro, secondo le stime della Proprietà Atac – dimostrano che, dopo 12 anni di sperimentazione sociale sulle politiche di genere, Lucha y Siesta è animata da una comunità più ampia e viva che mai.

Il Laboratorio di progettazione partecipata[4] svoltosi il 19 e 20 settembre è stato l’ennesimo – ma di certo non l’ultimo – passo di questo lungo percorso; passo con cui si è voluto mettere in dialogo due filoni di elaborazione e pratica politica estremamente interconnessi: quello del movimento per i beni comuni su come articolare il diritto a una città partecipata, aperta e solidale, e quello del movimento femminista e transfemminista sulla necessità dell’autonomia dei luoghi delle donne.[5]

Il presente documento intende restituire il discorso emerso nel ricco spazio di pensiero e confronto del Laboratorio, rielaborandolo alla luce della sedimentazione nel collettivo dellз attivistз di Lucha y Siesta nelle settimane a seguire. Questa rielaborazione è situata nel nostro qui e ora e contemporaneamente prende senso dal nostro orizzonte più ampio, aperto a tempi e luoghi diversi, sempre orientato alla trasformazione dell’esistente.

Questo documento si situa quindi, come la stessa due giorni di settembre, nel processo costituente di Lucha 2.0 che muove dal dichiarato intento di acquisto dell’immobile da parte della Regione Lazio e dal confronto con l’applicazione della legge regionale per i beni comuni;[6] si situa poi nel secondo lockdown causato dal Covid-19, che incide profondamente su ogni ambito delle nostre (r)esistenze, rendendo la nostra pratica quotidiana di contrasto alla violenza di genere più necessaria e più faticosa che mai; e si situa infine nel nostro sguardo collettivo, che assume i saperi e le pratiche femministe e transfemministe come chiavi di lettura e trasformazione del presente a partire dal riconoscimento della violenza di genere e dei generi come fenomeno complesso, sistemico e trasversale a tutti gli ambiti delle nostre vite.

Consapevoli dei limiti generali di un testo scritto, lo scegliamo partendo dalla convinzione di non poter condensare questo ragionamento negli spazi della comunicazione social e di aver bisogno non solo di fare una restituzione a chi ha partecipato al percorso fin qui compiuto, ma anche di includere pienamente chi vorrà partecipare ai prossimi passi.

Consapevoli poi dei limiti specifici di un testo scritto in italiano,[7] lingua sessuata e binaria, scegliamo di utilizzare in questo documento lo schwa[8] (ǝ al singolare; з al plurale). Il simbolo è stato scelto tra le tante varianti possibili (*, u, @…) a partire dall’ampio dibattito attualmente in corso; non sappiamo se questa nuova strada diventerà una convenzione o se si passerà ad altre soluzioni, siamo però certз di voler essere parte del processo di cambiamento che svela e supera il binarismo e la gerarchia riprodotti dalla nostra lingua, permettendoci sempre più di parlare alla (e della) irriducibile molteplicità di tutte le nostre esistenze.

Il documento è organizzato attorno ad alcune parole chiave e alla loro risignificazione, con l’obiettivo di rendere comprensibile, senza eccessive semplificazioni, la bellissima complessità emersa.

La cornice: pratiche, condizioni e connessioni di un dispositivo di cura

Nell’autodeterminare Lucha 2.0 come bene comune transfemminista riconosciamo l’agire politico sperimentato e praticato a Lucha y Siesta come cornice di riferimento; scegliamo, cioè, un orientamento che assuma le pratiche più che i princìpi, le condizioni più che le regole (della parola regola assumiamo il significato di misura, modalità scelta e costante che guida l’agire, rifiutando invece quello di prescrizione).

Presupposti imprescindibili della cornice di riferimento in cui Lucha 2.0 si muove fluida sono:

·saperi e le pratiche femministe e transfemministe come chiavi di lettura del presente a partire dal riconoscimento della violenza di genere e dei generi come fenomeno complesso, sistemico e trasversale a tutti gli ambiti delle nostre vite. L’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisessimo, il contrasto all’omolesbobitransfobia, la decostruzione degli stereotipi di genere e la lotta all’abilismo come valori imprescindibili. Perché fluidità e apertura non sono assenza di coordinate.
·luoghi delle donne e delle libere soggettività come spazi materiali e simbolici irrinunciabili che vivono nella dinamica del desiderio, che producono sapere, cultura, elaborazione di senso e di pensiero politico.
·L’accesso ai diritti. Lucha 2.0 è una complessa e sfaccettata porta di accesso ai diritti, specialmente ai diritti di genere: autonomia, autodeterminazione, indipendenza, libertà, uscita dalle forme della violenza. Lucha 2.0 non fornisce servizi o parcelle di essi, non si sostituisce a chi è deputato ad erogarli in modo universale, lo Stato, ma si configura come spazio in cui risignificarli, reinventarli, sperimentando metodologie situate e mai neutre.
·L’autodeterminazione e l’autogoverno. La comunità di Lucha 2.0 è dotata degli strumenti di pensiero e di pratica politica necessari ad attivare e sostenere percorsi di autonomia e autogoverno, facendo leva sulle proprie capacità autogenerative e autonormative.
·La cura, nella rete di relazioni. Lucha 2.0 è un dispositivo di cura e di autocura di corpi che sono in relazione con lo spazio, perché non esistono né corpi né spazi neutri e rigidamente dati ed è nella relazione e nello scambio continuo che rintracciamo quel valore capace di grandi trasformazioni e avanzamenti.
·L’assemblea, aperta, orizzontale e inclusiva, cuore dell’intero processo. L’assemblea di Lucha 2.0 è aperta a chiunque si senta parte della comunità che la anima, cioè a chiunque ne condivida valori, pratiche e metodologie fondamentali. L’assemblea è uno spazio reso sicuro dalla sorellanza. È uno spazio in cui sentirsi comodǝ, accoltǝ, non giudicatǝ; è responsabilità diffusa e condivisa renderlo tale, nonché far emergere le criticità e collaborare al loro superamento. L’assemblea promuove e pratica processi collettivi di autodeterminazione, orientati da desideri, bisogni e urgenze condivise. Le comunità interne possono dotarsi di proprie assemblee per discutere piani specifici di competenza utili a produrre e tutelare, tramite il consenso, il procedimento di evidenza pubblica generale e di autogoverno.
·La pratica del consenso nei processi decisionali. Il consenso è un processo per cui, attraverso ascolto attivo e confronto, si costruiscono decisioni condivise; non è maggioranza, unanimità, appiattimento o pratica di pacificazione ma ricerca dell’accordo anche nel disaccordo.
·L’inclusività, come paradigma fondante praticato a partire dal linguaggio. La comunità di Lucha 2.0 assume l’inclusività come paradigma fondante, rendendosi non solo permeabile al cambiamento ma agente dei processi di visibilizzazione e valorizzazione delle diversità a partire da una riflessione sul linguaggio e sulla comunicazione. Ognunǝ parla per sé. Nessunǝ parla per altrз. Ognunǝ parla se e quando vuole, nel rispetto dell’espressione altrui. Nessunǝ forza altrз a esprimersi, né interrompe o prevarica altrз. I momenti di silenzio sono accolti nella loro pienezza, non riempiti con forzature. Ognunǝ parla a partire da sé, consapevole della natura situata del proprio punto di vista, prezioso e parziale.
·La decostruzione delle gerarchie di potere. Alla base del sentirsi comunità, e quindi alla base dell’intero processo, ci sono il reciproco riconoscimento e la fiducia, essenziali per dare legittimità e visibilità a tutte le soggettività, per ridistribuire gli spazi e le risorse necessarie al soddisfacimento di diritti fondamentali. Nella comunità si stringono e si agiscono relazioni, complicità e alleanze fra soggetti e fra comunità interne (le donne che vivono nella Casa, lз attivistз, le operatrici antiviolenza, le persone amiche di Lucha, quelle che organizzano attività…); le comunità interne, costruite intorno alle funzioni che emergono dalle pratiche quotidiane, sono in rapporto paritario e rifiutano gerarchie e sovradeterminazioni reciproche; le competenze in esse espresse collaborano senza escludersi o competere, mirando, invece, a mantenere la specificità in un’ottica di metodologia comune.
·Il conflitto. Lucha 2.0 rifiuta che al suo interno si agisca qualunque dinamica violenta, ma valorizza e ripara il conflitto al suo interno e lo agita all’esterno. La distinzione, nettamente ancorata al cuore e all’esperienza di Lucha, implica l’indiscutibile diritto a  sottrarsi quando il conflitto è percepito come violenza.
·L’istituzionalità. Lucha 2.0 si autodetermina istituzione continua del femminismo, in grado di inventare e reinventare il diritto vivente e di dialogare alla pari con le istituzioni locali e nazionali; queste ultime sono utili, se necessario, a formulare gli strumenti amministrativi per perseguire gli obiettivi e garantirne le articolazioni. Al settore pubblico è richiesto, tramite i patti di collaborazione, di formulare investimenti sociali costanti e permanenti e investimenti economici che sostengano la partecipazione popolare al processo democratico di Lucha 2.0.
·La riflessione costante sull’autonarrazione. Lucha 2.0 costruisce la propria narrazione usando lingue, linguaggi, strategie e posture differenti; questa narrazione partecipa al processo collettivo di decostruzione della narrazione mainstream della violenza.
·La responsabilità diffusa, pratica moltiplicativa dell’autonomia. Chiunque si sente parte della comunità di Lucha 2.0, cioè chiunque ne condivide pratiche e condizioni fondamentali, è Lucha 2.0. Ognunǝ, nel territorio-collettività Lucha 2.0, è chiamatǝ a mettere in condivisione saperi, competenze, energie e tempo a seconda di desideri e possibilità; la responsabilità condivisa non è sacrificio né prestaz ione.

A partire dall’assunzione di questa cornice di senso, collettivamente generiamo la nostra comunità di discorso, di pratica e di azione trasformativa; di seguito proviamo a restituire la complessità delle principali elaborazioni collettive generate nella due giorni.

La processualità come garanzia del bene comune transfemminista

!Il processo di progettazione partecipata è il fondamento della costruzione continua di un bene comune situato e di genere; è un processo che non inizia né finisce ora, né finirà con la agognata conclusione del percorso di riconoscimento formale. Lucha 2.0 è di per sé processo, la sua comunità si definisce attorno a un come in continua elaborazione. 

Il laboratorio di settembre non è stato un inizio né una fine; è stato piuttosto il passo fondamentale di un percorso, di un progetto politico fortemente caratterizzato da tutte le posture e le pratiche sopra sinteticamente esposte; un percorso che intendiamo compiere tenendo presenti ed esplicitando i tempi della riproduzione sociale e le contraddizioni che produce,[9] costruendo e rivendicando un lessico comune che ci liberi da definizioni rigide che tracciano un dentro e un fuori. Dirci fuori da ciò che vogliamo sovvertire sarebbe, infatti, una forzatura sul reale, in quanto capitalismo, patriarcato e colonialismo, e le loro possibili interconnessioni, sono ancora il maggiore terreno di scontro e di critica sul presente, e richiedono un impegno di lotta politico-culturale costante per decostruire il sistema egemone imperniato sulla centralità del maschio cis, bianco ed etero.

Un percorso che si sostanzia in una trama di relazioni che si infittisce, permettendoci di continuare a ispirarci, a contaminarci, a tessere una visione a mosaico della nostra identità collettiva che è allo stesso tempo una pratica (quella dell’inclusività, della pluralità, della multidimensionalità), una strategia politica e un obiettivo. La convinzione che già ci aveva spinto a dare vita al Comitato Lucha alla città si è manifestata ancora in questa due giorni in tutta la sua potenza: è il processo stesso di progettazione partecipata a essere garanzia di costruzione di un bene comune transfemminista. Il bagaglio collettivo di saperi e pratiche è ricco e fondamentale ma non ci sono modelli da applicare: ogni bene comune è prassi e ricerca permanente, incontro delle diversità, apertura all’inatteso, continua messa in discussione. Capacità chiave, che vogliamo e dobbiamo continuare a mettere in campo per qualificare questo processo, è l’immaginazione, indispensabile per puntare al futuro, andare oltre, interpretare i bisogni in un’ottica che sappia vedere oltre la prossimità del necessario, mettendo in campo i desideri.

Principali motori del nostro andare – del nostro agire questo processo – sono la comunità, la vita dinamica e la politica prefigurativa: capaci di creare visione nel tempo oltre il qui ed ora e di ibridare mondi, bisogni, codici comuni e linguaggi in una narrazione che costruisce pezzi di mondi.

La risignificazione della proprietà

!La risignificazione, in quanto processo sovversivo, implica il riappropriarsi della parola proprietà, che fissa un rapporto di subordinazione e descrive un’esclusività, per attribuirgli un nuovo significato che racconti le nostre eccedenze. Immaginando e praticando una strada che esce dalla dicotomia pubblico-privato, scriviamo insieme una storia che ridefinisce, risignifica, parole: il territorio-comunità Lucha 2.0 libera lo spazio-luogo-bene risignificandolo attraverso la pratica dell’abitare.

Ragionando del (e nel) nostro spazio transfemminista – del suo uso non esclusivo, di cura, autodeterminato e autonormato – non potevamo non riflettere sul concetto stesso di bene: bene pubblico, bene privato, bene di proprietà, bene comune,…

I nostri spazi relazionali e politici rendono evidente la qualità performativa del linguaggio perché sono le pratiche e le sperimentazioni, con tutta la loro portata creativa, a ridisegnare le parole; ad abitarle e occuparle, come non a caso abbiamo fatto con il nostro spazio materiale.

Non vogliamo infatti che il bene, lo spazio di Lucha y Siesta, diventi nostro; l’iniziale riappropriazione di uno spazio abbandonato, la provocatoria campagna di acquisto partecipato, il processo di riconoscimento come bene comune in corso: agiamo il conflitto in modi molto diversi, che hanno in comune l’eccedere la norma del possesso, il decostruirla e risignificarla.

Ciò è evidentemente alla base della riflessione sul commoning ma è altrettanto in relazione con il transfemminismo e la sua risignificazione della cura. È proprio nell’intersezione di questi due discorsi che scorgiamo, infatti, la liberazione dalla proprietà: il sistema retto dal patriarcato ha un debito di cura nei confronti del femminismo e dei luoghi come Lucha y Siesta; le istituzioni formali, nel loro intervento di acquisto e di stipula dei patti di collaborazione, non agiscono un “passaggio di proprietà” (da istituzione formale a istituzione informale-autodeterminata) dello spazio-luogo-bene, ma riconoscono che quella proprietà è stata già risignificata e restituita, formalizzano cioè un processo di liberazione già reso legittimo dal modo in cui la comunità lo ha compiuto. La risignificazione è da rintracciare quindi nella pratica dell’abitare lo spazio: è il come,più che il cosa o il chi, a compiere il processo stesso di liberazione.

La redditività civica: (auto)valutazione, criteri e restituzione del debito di cura

!Lucha 2.0 agisce una logica generativa, non estrattiva, quindi non può essere valutata secondo criteri quantitativi; accettando le contraddizioni della realtà che continuamente sovverte, usa gli strumenti esistenti in modo critico e creativo, eccedendoli e partecipando al loro ripensamento.

Calcolando il valore economico prodotto da uno spazio sociale complesso e sfaccettato come Lucha y Siesta, si compie una traduzione nell’unico linguaggio che alcuni interlocutori parlano e comprendono, quello monetario.[10] Tale traduzione, spesso necessaria, è però fortemente inesatta, riduttiva e mortificante, innanzitutto perché rende conto, quando ci riesce, degli output e non degli outcome del processo compiuto; ma soprattutto perché afferma una comparabilità tra valore sociale e valore economico che è incompatibile con il ribaltamento che è alla base del commoning di uno spazio transfemminista.

Abbiamo bisogno di narrazioni, più che di metriche quantitative. Perché non forniamo servizi quantificabili, ma apriamo porte di accesso ai diritti; non generiamo prodotti finali valutabili in termini economici, ma animiamo un processo che continuamente rigenera se stesso e la realtà su cui agisce. Perché, infine, non abbiamo bisogno che una valutazione esterna ci legittimi, valutandoci sufficientemente adeguatз-efficienti- convenienti, siamo una comunità autodeterminata ed autonormata pienamente legittimata dalla sua stessa esistenza in continua rigenerazione.

Alle metriche quantitative si sostituiscono, o più spesso si affiancano, quelle qualitative, come nella valutazione di impatto sociale. I criteri qualitativi, pur non risolvendo le falle concettuali alla base della valutazione stessa, si prestano molto meglio a restituire l’altissima redditività civica degli spazi liberati. Aprono uno spazio in cui mostrare il discorso che continuamente agiamo: quello sulla qualità della vita e sulla qualità delle relazioni che ristorano, senza tuttavia sanarlo, il danno sociale subito a causa delle multiple e multiformi discriminazioni di genere in ogni ambito della vita. Usare gli strumenti valutativi esistenti in modo critico è anche e soprattutto questo: affermare che se proprio il nostro lavoro va valutato, allora pretendiamo che si valuti a partire dall’enorme debito di cura che le istituzioni formali hanno accumulato.

Aspetto ben più interessante per una comunità autodeterminata, autogovernata e autonormata è quello dell’autovalutazione continua del processo dinamico; emerge netta la necessità di definire in maniera chiara i criteri, per renderla in grado di esprimere la nostra complessità, la nostra processualità, i nostri spazi bianchi, il nostro essere in credito.

L’autodeterminazione dei tempi e la rivendicazione dello spazio bianco

!Lucha 2.0 assume la molteplicità dei suoi tempi come una ricchezza non eteronormabile, rivendicando la sua capacità di autodeterminarne l’uso collettivo nonché l’esigenza di preservare spazi bianchi, spazi-tempo di pensiero collettivo indispensabili per rigenerare la sua complessità.

Lucha 2.0 è aperta a una composizione multilivello di funzioni e pratiche che possono determinarsi secondo tempi e strumenti diversi. Oltre la norma ci sono le pratiche con la loro potenza generativa e non estrattiva, c’è l’imprevedibile del desiderio e dei sintomi di ogni crisi sulle donne e le soggettività libere lgbtqia+. In questo senso sempre si curano gli spazi bianchi non mediati con il diritto e l’istituzione statale. Si tratta di margini non definiti, spazi liberi in continua riformulazione, porte aperte sul possibile. Si mantiene, in altre parole, sempre da parte un po’ del lievito madre necessario a far crescere nuovi progetti di una collettività che vuole capovolgere l’esistente e radicalmente trasformarlo

Lucha y Siesta, già a partire dal suo nome, esprime la volontà di dare spazio, riconoscendogli legittimità e pienezza, al tempo della lotta e a quello del riposo. A partire da questa rivendicazione, lo spazio-luogo-bene in cui vive la nostra riflessione collettiva ha esploso un’incredibile varietà di tempi. Tempi dei corpi, tempi delle relazioni. Un tempo per il lavoro, un tempo liberato dall’emergenza della vita (liberato dai lavori precari e di produzione); untempoperl’ozio; un tempo dello stare, dell’esserci, ma anche un tempo del non esserci; un tempo dell’ascolto e un tempo soggettivo, e non standardizzabile, dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.

In questa trama di tempi non riducibile, emerge l’importanza vitale di un tempo fluido, libero, di spazi bianchi di incontro, di relazione, di pensiero collettivo complesso; spazi bianchi dell’inatteso e dell’imprevedibile, non mediati con il diritto e l’istituzione statale.

L’uso creativo della norma in uno spazio non normato

!La molteplicità di funzioni e pratiche che abita un processo di commoning transfemminista non può essere ricondotta in toto e in maniera univoca a una norma in quanto è proprio l’uso collettivo, democratico e processuale a determinarne i tempi di evoluzione, stasi e rivoluzione. Lucha 2.0 agisce una continua pratica di hackeraggio che stressa la norma, utilizzando strumenti creati da battaglie sorelle combattute altrove e contribuendo ad armarne di nuove.

I saperi e le pratiche del femminismo e del transfemminismo agiscono continuamente battaglie di risignificazione sovversiva di parole e gesti (cura, consenso..); questa postura non solo è coerente, ma fondante delle risignificazioni agite dai processi di commoning (proprietà, responsabilità..). Non stupisce che un luogo come Lucha y Siesta, sperimentando attivamente nel solco di entrambe le logiche, sia percepita come destabilizzante dalle istituzioni formali che agiscono in un’ottica di controllo e disciplinamento. La lunga battaglia per il riconoscimento formale di Lucha, che ha prodotto il processo costituente di Lucha 2.0, come quella di tanti altri spazi simili, non è una battaglia di legittimazione (né tantomeno di legalizzazione) ma piuttosto, di nuovo, una pratica di risignificazione della ratio della pubblica amministrazione.

Il rapporto di Lucha 2.0 con le norme esistenti – anche con quelle più avanzate- non può che essere, quindi, un uso critico e creativo, che ci porta a prendere tutto quello che possiamo senza scordare che non sarà mai abbastanza, soprattutto se consideriamo l’enorme debito di cura di cui dobbiamo esigere, continuamente, una restituzione. Usiamo le norme sapendo di eccederle, sapendo di doverne forzare le maglie. Esattamente come si fa occupando spazi abbandonati e liberandoli dalla speculazione; esattamente come la comunità di Lucha y Siesta fa ogni giorno sperimentando un ibrido fra casa rifugio, centro antiviolenza, spazio abitativo comunitario, centro culturale e politico non inquadrabile in nessuna griglia normativa esistente.

L’esistenza stessa di Lucha 2.0, il suo autodeterminarsi istituzione, produce uno scarto rispetto alle norme esistenti, agisce una frizione con l’attitudine statica e disciplinante del diritto, e quindi abilita, forza un cambiamento.

La comunità di Lucha 2.0 si definisce si rigenera attraverso pratiche, gesti e parole; la continua produzione di senso che ne deriva non è mai data, né mai sintetizzabile in maniera univoca.

Il Laboratorio di progettazione partecipata è stato un passo entusiasmante. Questo documento è il nostro modo di raccontarlo. Costruire nuovi momenti di incontro è il modo per continuare, insieme, ad andare. A presto, diamo Lucha alla città.

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Le grafiche multilingue di Lucha 2.0


[1] Per un approfondimento sui luoghi delle donne e sulla vicenda di Lucha y Siesta: https://jacobinitalia.it/diamo-lucha-al-mondo/ e https://www.intersezionale.com/2020/10/13/re-inventare-autonomia-esperienza-di-lucha-y-siesta/

[2]https://luchaysiesta.org/2019/09/07/nasce-lucha-alla-citta-il-comitato-a-sostegno-della-casa-delle-donne-lucha-y-siesta

[3] https://www.produzionidalbasso.com/project/lucha-alla-citta/

[4] La due giorni, dal titolo “Lucha y Siesta 2.0. Laboratorio di progettazione partecipata verso un nuovo bene comune aperto e transfemminista”, si è svolta nel giardino di Lucha y Siesta ed è stata trasmessa in diretta da Lab-tv. Il lavoro si è articolato in tre momenti: la plenaria d’apertura, la suddivisione in tavoli di lavoro – Governance, Pratiche e Comunicazione – e la plenaria conclusiva. Video, convocazione, programma e materiali di preparazione sono consultabili qui: https://luchaysiesta.wordpress.com/2020/09/02/lucha-y-siesta-2-0-laboratorio-di-progettazione-partecipata

[5] Il 10 e 11 ottobre 2020 si è svolta alla Casa Internazionale delle donne di Roma una due giorni intitolata “Assemblea della Magnolia. Donne e next generation UE” costruita in dialogo con il Laboratorio di Lucha y Siesta. Il documento finale è consultabile qui: https://www.casainternazionaledelledonne.org/index.php/eventi/noi-siamo-la-cura-1890.

Già nel 2018 Lucha y Siesta, nel movimento nazionale Non una di meno, aveva promosso e ospitato l’incontro “Le città femministe Esistono e Resistono” https://nonunadimeno.wordpress.com/2018/09/13/le-citta-femministe-esistono-e-resistono-incontro-nazionale

[6] Nel dicembre 2019, la Regione Lazio ha stanziato in bilancio dei fondi destinati al contrasto alla violenza di genere che intende utilizzare per partecipare alla procedura pubblica di acquisto dell’immobile in Via Lucio Sestio 10 dove oggi Lucha ha luogo. Qui la notizia riportata dalla sala stampa regionale: https://www.regione.lazio.it/rl_main/?vw=newsDettaglio&id=5309

[7] Stiamo lavorando alle traduzioni, convintз che un’ottica decoloniale e transnazionale sia un elemento ineludibile dell’inclusività. Chiunque fosse interessatǝ a contribuire al plurilinguismo di Lucha è lǝ benvenutǝ!

[8] Con il termine schwa si designa una vocale centrale media che, nell’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), viene indicata con il simbolo ə. Per un approfondimento: https://www.italianoinclusivo.it

[9] Per un approfondimento sul tema: https://www.infoaut.org/femminismo-genders/la-questione-della-riproduzione-sociale

[10] Nel documento di presentazione di Lucha y Siesta (www.luchaysiesta.org/wp-content/uploads/2022/10/presentazione_luchaysiesta_logo_nuovo.pdf) redatto ormai più di un anno fa, abbiamo riportato una valutazione quantitativa delle diverse attività svolte; da una stima fatta sulla base dei ai bandi del Comune di Roma e della Regione Lazio pertinenti, l’esperienza della Casa delle Donne Lucha y Siesta ha fatto risparmiare alla pubblica amministrazione un totale di 6.776.586 euro.

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